Skip to main content

By Salem Ghribi.

Nel post precedente, vi abbiamo raccontato dell’estate: caldissima e piena di momenti di lotta. Adesso ci concentriamo sull’autunno con tutte le sue rivendicazioni. Dai campeggi estivi alle manifestazioni di convergenza.

 

Non c’è dubbio che è un momento fondamentale per comprendere il ruolo del movimento climatico nella società e nel futuro, a partire dal global strike dal 23 settembre. Solo due giorni prima delle elezioni nazionali che hanno confermato l’ascesa della coalizione di destra, che nella figura di Giorgia Meloni, promette in sede internazionale il rispetto dei parametri internazionali sul clima e poi, come i suoi predecessori, punta all’estrazione del gas nostrano e a missioni “strategiche” nazionali alla ricerca di idrocarburi in qualche altro paese autocratico. Per l’ennesima volta i grandi partiti hanno impostato la campagna elettorale riempiendosi la bocca di slogan e promesse – dimenticandosi che, al momento di decidere, hanno sempre remato contro una vera transizione ecologica, per allontanarla, spuntarla e renderla occasione di nuovi profitti per aziende ‘green’. Appare chiaro oggi, considerando l’evoluzione delle emissioni globali, che pensare di incentivare con soldi pubblici gli investimenti privati nella speranza che questi, naturalmente, portino alla risoluzione della crisi climatica è ottuso e miope – così come è miope credere che finanziarizzare l’inquinamento, con i carbon credits, possa smuovere virtuosamente il mercato. Questa ricetta, iniziata dal Protocollo di Kyoto del 1997, ha avuto più di vent’anni per essere sperimentata, ma ci troviamo con un tasso di crescita delle emissioni globali ancor più sostenuto che in passato. Serve cambiare direzione, serve un programma climatico coraggioso e lungimirante, che venga supportato e condiviso da lavoratrici e lavoratori, tanto nel Nord quanto nel Sud del mondo. Il movimento Fridays for Future, a questo proposito, ha scritto una ricca agenda climatica diretta ai partiti, che tocca molti dei punti che ho discusso precedentemente; purtroppo, molti di questi punti sono stati già disattesi nei programmi dei maggiori partiti, e lo saranno ancor più nelle azioni.

A partire da questa consapevolezza, c’è stato probabilmente un cambio di passo del movimento climatico: da movimento di opinione a collettività pronta a organizzare una controffensiva che obblighi, con nuovi rapporti di forza, chi si è arricchito con la devastazione ambientale a mollare il timone e a pagare il costo della transizione ecologica.
Un grande spinta propulsiva in questo cambio di paradigma è la reazione al voto del Parlamento Europeo (luglio 2022) che ha incluso nella tassonomia europea delle fonti verdi il gas e il nucleare. Inizialmente le istituzioni europee godevano di fiducia da parte dei giovani attivisti, ma dopo un tradimento epocale, in seguito a manifestazioni gigantesche, rimane la delusione, da una parte; ma anche una nuova forza, dall’altra. La forza della consapevolezza che un cambio di direzione può partire solo dalle proprie lotte, idee e mobilitazioni. Il movimento ha capito che esistono più versioni di transizione ecologica, ma ne esiste solo una che abbia la speranza di funzionare. Esiste da una parte la transizione regressiva dei ricchi e dei potenti, che vuole cambiare tutto per non cambiare niente. Esiste poi, dall’altra parte, una transizione democratica, socialista, che fa appello alla maggioranza delle persone, non solo per salvare questo mondo, ma anche per cambiarlo radicalmente, insieme alle condizioni di vita di chi lo abita.

Le proposte sono molteplici e molto concrete, ma basate tutte sulla necessità di redistribuire la ricchezza e di attuare una democrazia energetica, per far capire alla maggioranza del globo che la transizione ecologica non solo è necessaria, ma è un’occasione di miglioramento delle proprie vite. Trasporti gratuiti, riduzione dell’orario di lavoro, tassazione al 100% degli extraprofitti delle multinazionali energetiche, cancellazione del debito climatico. Tutti temi che si rivolgono non (solo) alla politica, ma direttamente alle persone che, come la natura, da questo sistema mortifero hanno subito solo devastazione e miseria. In questa prospettiva, è stata fondamentale anche la data nazionale del 22 Ottobre di Bologna e del 5 Novembre a Napoli, indetta dalla GKN, sull’onda del movimento #insorgiamo, in collaborazione con Fridays for Future e tante altre realtà nazionali e locali. Queste date hanno avuto, come già avvenuto a Firenze, una ricchezza di temi a partire dal lavoro, continuando sulla necessità di tutelare il nostro pianeta, ed è stata attraversata da moltissime esperienze e vissuti:: poverə, persone razzializzate, istanze transfemministe, soggettività LGBTQ+. Convergenza può voler dire unirsi per un progetto condiviso, costruire un movimento che rappresenti soggettività differenti, non infatti ‘convergere per convergere’, ma convergere per uno scopo comune, ancora in costruzione, certo, ma di cui le fondamenta sono state poste nel lavoro collettivo dei movimenti climatici, dei movimenti per la giustizia sociale, per i diritti di chi lavora; fondamenta discusse e sedimentate proprio nei campeggi di quest’estate e nelle prime date di quest’autunno.

Impegnarsi maggiormente in questo autunno è tanto più importante a causa della crisi energetica in corso, la quale rischia di essere una pentola a pressione di rabbia sociale. Sarebbe desiderabile che i movimenti riuscissero a rivolgere tale rabbia verso chi su questa crisi energetica, a fronte di una guerra, sta speculando, traendone enormi profitti, e non invece, come stanno tentando di fare taluni, contro le rivendicazioni ambientali, apparentemente condannate dell’innalzamento del prezzo del gas. Anche il tema degli extraprofitti pone il quesito di chi deve pagare la transizione ecologica: tutti sono invitati a cambiare stile di vita, ma non tutti hanno goduto e stanno godendo dei frutti del lavoro collettivo e della terra. Qualcuno si è arricchito più di altri, e oggi è il momento di chiamarlo al banco e fargli pagare il conto. In alternativa, se non sapremo coalizzare le forze sociali e i bisogni della maggioranza verso interessi comuni e agende condivise, correremo un grave rischio: da una parte fazioni politiche che non hanno alcuna intenzione di compiere alcun passo reale verso la transizione ecologica, dall’altra chi si riempie la bocca di retorica, da anni, ma che vede un’unica transizione ecologica possibile, quella dei potenti e che rischia di incentivare un’opposizione popolare ai temi ambientali, relegando la causa ecologista a un’élite di intellettuali coscienti, ma impotenti e mal sopportati dalla maggioranza delle persone.

In quest’autunno che si è da poco aperto, chi porta avanti le rivendicazioni climatiche deve scegliere da che parte stare, cosa essere: se un movimento di élite o un movimento popolare, non solo per salvare le proprie esistenze, ma anche per cambiarle radicalmente.

"No to wars on our bodies. Self-determination income for all" Mo Bast' Insorgiamo demontration, November 5, 2022 Napoli. Credits: Non una di meno - Napoli.

“No to wars on our bodies. Self-determination income for all” Mo Bast’ Insorgiamo demontration, November 5, 2022 Napoli. Credits: Non una di meno – Napoli.

Su questa linea si deve inoltre testare la tattica del movimento: il suo impatto sul mondo deve avvenire tramite un’opera pia di convincimento dei potenti, oppure tramite la costruzione di rapporti di forza che possano costringerli ad assumersi le proprie responsabilità? Si ritiene che la transizione ecologica non stia avvenendo per ignoranza dei potenti, oppure per una strutturale divergenza di interessi, dovuta a limiti sistemici? Il movimento sembra pronto a queste sfide, e lo fa intendere con i salti importanti che si sono rivelati negli ultimi mesi, dalla teoria alle pratiche, dai territori alle organizzazioni nazionali.  Il movimento per la giustizia climatica riuscirà a essere una forza costante e unica solo se saprà cogliere e intercettare tutte le contraddizioni sociali, e non chiudersi, come talvolta è avvenuto in passato, in rivendicazioni esclusivamente relative al non-sforamento della soglia di 1,5°, riuscendo a conciliare così finalmente ‘ecologia scientifica’ ed ‘ecologia politica’. Se esso saprà essere compreso dalla maggioranza delle persone e verrà colto come un alleato alla soluzione della miseria quotidiana che imperversa nelle vite di molti, riuscirà fin da quest’ autunno a rimettere in discussione tutto ciò che è stato raccontato a proposito di questo sistema economico, in particolar modo alla mia generazione, Generazione Millenial, che non ha conosciuto, durante la sua vita, altro mondo possibile, che ha fin da subito conosciuto la cosiddetta ‘fine della storia’. La tendenza pare chiara: abbiamo capito che le ricette di mercato non hanno funzionato e non funzioneranno; c’è stato tutto il tempo per sperimentarle, ma ora è il tempo di ridiscutere tutta l’idea di progresso, crescita e benessere (di pochi) che è stata egemonica negli ultimi cinquant’anni.

Se non lo faremo noi, non lo farà nessuno.

 

Salem Ghribi é un dottorando al CNR – ISTEC. Attualmente é attivista di Ecologia Politica Network ed é stato attivo in Fridays For Future oltre che nelle lotte per il diritto allo studio, per i diritti del lavoro e per il diritto alla casa. Ha scritto articoli per Jacobin sulla pandemia e sulla crisi climatica. Questo articolo è stato pubblicato originalmente su Le Parole e le Cose.

 

Top (feature) image: Insorgiamo flyer. Artwork by Zerocalcare.

 

Author

  • Undisciplined Environments

    We are a collective of scholars and activists oriented towards a common horizon of emancipatory social and ecological transformation. With this platform, we aim to animate a space to share, debate and critically reflect on research and activist experiences, observations, methodologies, news, events, publications, art, music and other themes and objects related to political ecology.

Leave a Reply