di Salem Ghribi
È agli inizi del 2019 che una nuova forma di attivismo ambientale prende spazio nello scenario globale. Una composizione giovane, soprattutto studenti e studentesse, pone un nuovo modo di intendere l’ecologia e il rapporto con l’impegno politico in generale. Vediamo cosa è successo nei molteplici campeggi ecologisti dell’estate 2022.
Da quei momenti fondamentali del 2019 sono passati 3 anni che hanno posto il nuovo movimento climatico davanti a sfide storiche: non solo il riscaldamento globale, ma una pandemia globale e nuove sanguinose guerre. Anche in Italia, sull’onda planetaria, nascono più di cento comitati locali di Fridays For Future ma non solo. Rapidamente, giustizia climatica prende sfumature diverse e, in tutto il mondo, nascono nuove esperienze accomunate dal fatto di dare massima priorità a questa lotta, a partire da storie e prospettive differenti. Da ricordare in Italia fra i nuovi gruppi nati dopo il 2019, oltre al già citato Fridays For Future, anche Ecologia Politica Network, Rise Up For Climate Justice, Extinction Rebellion e Ultima Generazione.
Dopo tre anni, la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina, attivisti e attiviste da tutto il Paese e da tutto il mondo si sono date appuntamento per discutere e organizzare le prospettive per il prossimo autunno. Hanno deciso di farlo in una serie di campeggi che hanno attraversato l’estate e l’Italia, basati sulla centralità di una discussione urgente sul futuro del movimento climatico. Questi campeggi sono iniziati a luglio con Carsica sulle Alpi Apuane, poi il Climate Social Camp a Torino (in contemporanea al meeting europeo di Fridays For Future), il campeggio No Muos a Niscemi, la Convocatoria Ecologista a Taranto e infine il Venice Climate Meeting a Venezia a settembre. Tutti questi campeggi hanno colto, con sfumature differenti, un dato maturato negli ultimi anni, cioè lo stretto rapporto tra questioni sociali, economiche, politiche e la transizione ecologica.
Nel corso di Carsica, tra le tante importanti discussioni che hanno animato i tre giorni, si è riflettuto sul difficile rapporto tra chi lavora in filiere inquinanti e le rivendicazioni ambientali, concentrandosi, in particolare, sullo sventramento delle Alpi Apuane da parte delle industrie del marmo di Carrara e Massa. Il contesto specifico fa emergere le contraddizioni insite nelle grandi produzioni italiane “di qualità”, riconosciute e apprezzate in tutto il mondo, raccontate come ricchezza del territorio, ma spesso godute solo da una piccola minoranza di capitalisti, italiani e non. La riflessione del movimento climatico sul tema è ampia, ma pone almeno un punto fondamentale: bisogna assolutamente rifiutare il ricatto occupazionale, che pone chi lavora di fronte all’obbligo di scegliere se morire di fame o di malattia. Per fare questo è necessario assumere anche una prospettiva di classe, che mostri che la lotta non è tra lavoratori e ambiente, ma tra lavoratori, ambiente e chi da questi estrae risorse e valore attraverso lo sfruttamento. La contraddizione tra lavoro, salute e ambiente è infatti interna ai rapporti di produzione capitalistici; obiettivo del movimento climatico deve essere dunque ribaltarli.
Molte delle riflessioni sono poi continuate, in misura più ampia, al Climate Social Camp di Torino. In questa occasione si sono ritrovate tutte le principali organizzazioni ecologiste, migliaia di attivisti da tutta Europa, in contemporanea al secondo meeting europeo di Fridays for Future, oltre che attivisti dai paesi MAPA (Most Affected People and Areas).
Quattro giorni a tutto tondo che hanno affrontato i temi che hanno attraversato, da sempre, il dibattito climatico: la relazione lavoro-ambiente-salute, l’intersezione tra lotta ecologista e transfemminista, il ruolo del Sud globale nella transizione ecologica – nonché questioni come energia, acqua e approvvigionamento di cibo di qualità e sostenibile.
Concentrandosi sul tema del lavoro, è certamente un esempio, seppur insufficiente a mostrare una tendenza generale, quello della GKN di Campi Bisenzio. I lavoratori di questa fabbrica hanno dimostrato la possibilità di una relazione concreta tra lotte sul posto di lavoro e lotte ecologiste, a partire dal grande corteo in collaborazione con Fridays for Future del 26 marzo 2022 a Firenze, poi continuata nelle date di Bologna del 22 ottobre 2022 e di Napoli del 5 Novembre 2022.
La lotta della GKN pone un obiettivo minimo possibile di convergenza e di alleanza tra lavoratori e attivisti climatici, tra lotte al punto di produzione e lotte al punto di riproduzione, e questo avviene non solo in Toscana: ne sono infatti ulteriore esempio i portuali di Genova, che hanno dimostrato, in più occasioni, che il lavoro pone delle responsabilità sociali. Il loro rifiuto di prestare braccia e forze per caricare armi sulle navi dirette nei teatri di guerra, ha posto con forza il tema della democrazia sul posto del lavoro, costringendo a chiedersi: cosa produciamo, come lo facciamo e a che scopo?
In questo senso anche il grande dibattito sulla transizione ecologica è stato affrontato con maggiore radicalità rispetto a qualche mese fa. Il rapporto tra movimento operaio e la giustizia climatica è stato profondamente problematizzato, arrivando a indicare un potenziamento vicendevole dei due. Per lavoratrici e lavoratori è un’occasione duplice: da una parte una strada per una maggiore democratizzazione dei posti di lavoro, dove chi lavora ha diritto e dovere di essere coinvolto nel piano economico, sociale e ambientale del proprio luogo di lavoro; dall’altra si nota come la partecipazione del movimento ecologista permetta di uscire dal piano meramente vertenziale e salariale, ampliando le battaglie sindacali in direzione di battaglie politiche e di avanzamento per tutta la società. Per il movimento ecologista, invece, il rapporto con lavoratrici e lavoratori non è solo desiderabile, ma necessario. Non è infatti possibile una transizione ecologica calata dall’alto; anche se lo fosse, tra l’altro, non sarebbe auspicabile dati gli enormi costi sociali. Inoltre, su questo punto, nel corso del campeggio torinese si è riflettuto ampiamente sul concetto di sciopero: sciopero produttivo, sciopero sociale, sciopero riproduttivo. I cosiddetti strikes for the future di studentesse e studenti sono inquadrabili come scioperi sociali. Questi, pur essendo riusciti con successo a porre in primo piano la questione climatica nel dibattito pubblico, hanno un limite oggettivo dovuto al fatto che se non accoppiati a scioperi produttivi e riproduttivi, risultano armi spuntate, certo importanti per muovere la coscienza pubblica e mostrare l’urgenza dell’emergenza climatica, ma insufficienti a ribaltare i rapporti di forza.
Di rapporti di forza si parla anche per quanto riguarda i MAPA, i quali più volte hanno espresso la loro insofferenza rispetto al taglio comunicativo del movimento climatico nord-occidentale, ritenuto poco efficace. La grossa partecipazione da parte di persone provenienti da territori devastati dal capitalismo ecocida ha infatti imposto una serie di riflessioni intorno alle prospettive, alle pratiche e ai punti di vista del movimento. I loro contributi hanno portato al dibattito climatico europeo i grandi temi del privilegio, della decolonialità, dell’eurocentrismo. E ancora: della cancellazione del debito, della delocalizzazione e del costo della transizione ecologica, anche a seguito della massiccia richiesta di materie prime a essa necessaria.
La loro partecipazione ha approfondito la critica dell’idea che possa esistere una universalità delle pratiche – dibattito già avviato alle nostre latitudini e sta prendendo sempre maggiore centralità.
Le pratiche di lotta non possono essere slegate dal territorio in cui si portano avanti, dalle condizioni sociali, politiche, dell’agibilità democratica, dal grado di oppressione patriarcale e così via. Da questo presupposto è arrivata netta la posizione delle popolazioni MAPA, anche rispetto alla necessità di tessere relazioni che non siano di solidarietà ‘vuota’ o di paternalismo eurocentrico, ma che invece costruiscano la possibilità di incontrarsi su battaglie e orizzonti comuni.
Credo che un dato rilevante di questo evento torinese possa essere rintracciato nella radicalizzazione del movimento climatico, in particolare italiano. Se si guarda infatti alla parabola degli ultimi tre anni non si può non notare la crescente complessità del movimento. Guardando alle questioni poste dai Fridays, è innegabile che le posizioni emerse negli ultimi mesi, a partire dal Climate Social Camp sono di netta evoluzione rispetto a quelle di qualche anno fa. La presa di coscienza rispetto al punto di vista anticapitalista, il tramonto della fase di richiesta e di supporto alla politica istituzionale, la radicalizzazione sui temi del lavoro, della transizione ecologica, della critica al modello di sviluppo globale denotano una crescita politica di questa realtà. Su queste contraddizioni sistematiche il movimento per la giustizia climatica è riuscito a sviluppare un discorso avanzato, riuscendo – come su altri fronti – a produrre una critica radicale.
Un’ulteriore evoluzione delle analisi è poi partita dalla restituzione della complessità della guerra in Ucraina, che ha mescolato le carte delle priorità del governo rispetto alla transizione ecologica, riaprendo le centrali a carbone e puntando sui rigassificatori con lo scopo di utilizzare il gas liquefatto proveniente da oltreoceano. È da questo presupposto che il campeggio No Muos di Niscemi, in Sicilia, ha affrontato il tema della guerra e delle sue relazioni con la questione climatica, a partire da un luogo devastato dalla presenza del sistema Muos, un gigantesco apparato di telecomunicazioni radar di proprietà degli Stati Uniti.
Tra gli obiettivi di questo appuntamento, la necessità di creare una convergenza con i movimenti climatici per costruire un’opposizione reale e dal basso alle occupazioni militari e all’industria della guerra, responsabili di un’enorme quantità di emissioni climalteranti, nonché di disastri ambientali e sociali, come nel caso della cittadina di Niscemi. Per ultimi, solo cronologicamente, hanno chiuso l’estate di lotta i campeggi di Taranto e Venezia. Co-organizzata da diverse realtà del Sud Italia, la Convocatoria Ecologista ha risposto alla necessità di costruire spazi di confronto, di socialità e di emancipazione che trovassero nella cura, nell’autonomia politica e non solo gli elementi di un lessico nuovo. Questa tre giorni ha riconosciuto gli spazi di cura e di autonomia come il terreno sul quale interconnettere ferite, violenze, desideri e bisogni, da sempre invisibilizzati in ogni margine. In quel Sud che quotidianamente viene posto sotto ricatto dal potere coloniale incarnato dalle istituzioni nord-occidentali e dalla struttura economica che tutelano. Il Venice Climate Camp ha invece dato continuità ai dibattiti europei iniziati al meeting di Torino, affrontando i temi della decolonialità e del lavoro, portando sotto i riflettori della Mostra del Cinema – e a portata di idranti! – la lotta climatica.
Salem Ghribi é un dottorando al CNR – ISTEC. Attualmente é attivista di Ecologia Politica Network ed é stato attivo in Fridays For Future oltre che nelle lotte per il diritto allo studio, per i diritti del lavoro e per il diritto alla casa. Ha scritto articoli per Jacobin sulla pandemia e sulla crisi climatica. Questo articolo è stato pubblicato originalmente su Le Parole e le Cose.
Top (feature) image: Venice Climate March, September 10, 2022. Credits: Dario Fichera. Thanks to Venice Climate Camp and Rise Up for Climate Justice